info@gymoplan.it

Testimonianze

PRIMA

Non inizierò il discorso annoiandovi con i cicli circadiani o giornalieri.

L’importante è sapere a livello teorico che il GH presenta tre picchi significativi durante la giornata:

i due più alti si verificano nella prima e nella quarta ora successiva all'addormentamento.

Il terzo, meno influente, si sviluppa nel primo mattino.

Mentre il testosterone presenta due picchi: uno tra le 06.00 e le 07.00 e il secondo intorno alle 17.30.

Il cortisolo presenta il suo picco massimo fra le 07.00 e le 08.00 del mattino.

Quindi, alla domanda "A che ora bisogna allenarsi per avere il massimo dei benefici?" possiamo rispondere:

Se si vuole dimagrire una seduta aerobica mattutina sfrutterà il picco di GH e i massimi livelli di cortisolo, in quanto è dimostrato che i due ormoni suddetti hanno effetto lipolitico (dimagrante).

Se invece bisogna aumentare il volume muscolare l'allenamento va fato nel primo pomeriggio in quanto si sarà appoggiati dal picco di testosterone (ormone responsabile della crescita muscolare).

Inoltre, nel tardo pomeriggio, possiamo sfruttare il picco dell'adrenalina (ormone che aumenta l'energia e la carica durante l'allenamento).

Bene ora che conoscete la teoria vi posso garantire che in pratica meglio allenarsi quando avete voglia e tempo. Rispettare uno degli orari sopra elencati può diventare complicato e portarvi a non allenarvi proprio.

Non abbiamo una percentuale scientificamente provata di quanto migliori il nostro allenamento in questi orari, per la mia esperienza vi posso garantire ben poco. Quindi trovate il vostro momento preferito e regolarizzatelo durante la settimana, inseritelo nella vostra routine e godetevi i benefici che vi darà l’allenamento stesso al di là dell’ora in cui lo svolgete.

I migliori orari per l’allenamento

DOPO

PRIMA

Tiramisu' Fit


Ingredienti :

- 150 gr ricotta light

- 170 gr Fruyo al caffè

-70 gr albume

- 1 cucchiaino di miele

- biscotti integrali (senza zuccheri aggiunti)

 

Procedimento per il nostro dolce fit:

-Monto gli albumi

-Unisco ricotta, yogurt e miele e frullo con le fruste per qualche minuto

-Lascio riposare in frigo per circa 30 minuti

- In una teglia metto uno strato di crema e alterno con i biscotti non inzuppati formando due strati (concludo con strato di crema)

-Lascio riposare in frigo almeno sei ore prima di servire

-Servo con spolverata di cacao

 

Ed ecco pronto il nostro dolce fit, ricordo sempre che i prodotti alimentari fit non sono a basso contenuto kcalorico ma hanno un buon equilibrio tra i macronutrienti interni.

Ogni fetta di questo buonissimo tisamisù contiene circa 250kcal ma la sua fonte proteica, grassa e di carboidrati è perfettamente bilanciata.

 

Tiramisù Fit

DOPO

PRIMA

Il tessuto muscolare è un tessuto capace di potenti contrazioni. Nel corpo umano si trovano
tre tipi di tessuto muscolare: scheletrico, cardiaco e liscio. Il meccanismo di contrazione è simile nei tre tessuti , ma la loro organizzazione interna è diversa.

 

Tessuto muscolare scheletrico

Il tessuto muscolare scheletrico contiene fibre muscolari, chiamate così per le loro cellule lunghe e sottili, molto grandi. Ogni fibra muscolare scheletrica é multinucleata, può contenere infatti anche centinaia di nuclei sotto la superficie del sarcolemma (membrana cellulare del tessuto muscolare). Le fibre muscolari scheletriche possono generare nuove fibre grazie alle divisioni delle cellule miosatelliti (cellule staminali), questo permette al tessuto di ripararsi in caso di danneggiamento. Le fibre contengono filamenti di actina e miosina disposti parallelamente all’interno di gruppi funzionali organizzati, facendone risultare un aspetto striato. Normalmente le fibre muscolari scheletriche sono controllate volontariamente dal sistema nervoso, per questo si parla di muscolo striato volontario. Tutto il tessuto muscolare scheletrico viene tenuto assieme dal tessuto connettivo areolare (tessuto connettivo con struttura a maglie aperte, riempito in gran parte da sostanza fondamentale, con la funzione di ammortizzare i traumi, permettere una serie di movimenti indipendenti e i suoi capillari trasportano le cellule migranti da e verso i tessuti).

 

Tessuto muscolare cardiaco

Il tessuto muscolare cardiaco si trova solo ed esclusivamente nel cuore. Una tipica cellula muscolare cardiaca è di minori dimensioni rispetto ad una fibra muscolare scheletrica ed inoltre possiede un solo nucleo. Queste cellule sono connesse tra di loro in regioni specializzate, chiamate dischi intercalari, facendo si che vada a costituirsi una rete ramificata di cellule muscolari interconnesse. Questi dischi permettono di fornire un percorso guidato alle forze di contrazione e le giunzioni comunicanti consentono allo stimolo contrattile, di progredire in modo coordinato in tutto il tessuto. Le fibre muscolari cardiache sono incapaci di dividersi e, mancando di cellule miosatelliti, non possono rigenerarsi quando il tessuto viene danneggiato. A differenza del muscolo scheletrico quello cardiaco viene definito muscolo striato involontario; infatti il sistema nervoso può solo influenzare, ma non controllare in maniera volontaria le cellule muscolari che mantengono la contrazione a un ritmo regolare, chiamate cellule peacemaker.

 

Tessuto muscolare liscio

Il tessuto muscolare liscio si trova nelle parete dei vasi sanguigni e degli organi cavi e nella tonaca muscolare dei tratti respiratorio, circolatorio, digerente e genitale. Una cellula muscolare liscia è una piccola cellula fusiforme con un singolo nucleo posizionato al centro di essa; può inoltre dividersi e rigenerarsi dopo una lesione subita. I filamenti di actina e miosina, a differenza delle fibre scheletriche e cardiache, non danno origine a striature visibili. Alcune cellule muscolari, mediante l’azione di cellule peacemaker, si contraggono autonomamente, mentre altre si contraggono sotto lo stimolo nervoso. Ciò nonostante, il sistema nervoso generalmente non fornisce un controllo volontario delle contrazioni, perciò si parla di muscolo involontario non striato

Tessuto muscolare

DOPO

PRIMA

ANATOMIA

Il muscolo tricipite brachiale è costituito da tre ventri muscolari differenti: capo lungo, capo laterale e capo mediale.

Il capo lungo ha origine nel tubercolo infraglenoideo della scapola e passa attraverso il triangolo dei rotondi; il capo laterale ha origine nel margine laterale e nella facciata posteriore del corpo dell’omero  prossimamente al solco radiale; il capo mediale ha origine sulla superficie posteriore dell’omero distalmente al solco radiale. Tutti e tre i capi si riuniscono in un tendine che si inserisce sulle facce superiori e posteriori dell'olecrano dell'ulna e sulla parete posteriore della capsula articolare del gomito.

 

AZIONE DEL MUSCOLO

La totalità dei tre ventri muscolari del tricipite, insieme all’anconeo, permettono di eseguire una estensione di gomito; il capo lungo, unico tra i tre capi ad essere biarticolare, inoltre consente di eseguire una estensione ed una adduzione della spalla sul piano sagittale.

 

ESERCIZI

Vediamo ora alcuni esempi di esercizi spesso utilizzati per allenare il tricipite brachiale:

  • French press: per iniziare bisogna distendersi in posizione supina su panca con scapole addotte e depresse e braccia perpendicolari al suolo, la presa invece è stretta, all’altezza delle spalle. La fase eccentrica vede una flessione del gomito che si piegherà fino ad arrivare a concludere il movimento sfiorando la nuca, andando così a far lavorare il tricipite in modo tale da rallentare la discesa. La fase concentrica prevede un’estensione del gomito graduale fino a tornare alla posizione di partenza. Il movimento deve essere eseguito lentamente, mentre le spalle e le scapole devono rimanere salde.
  • Push down: la normale esecuzione vede la persona con le braccia molto vicine ai fianchi in modo tale da riuscire a mantenere i gomiti stretti, successivamente impugnare la barra e spingere verso il basso, estendendo completamente l’avambraccio; nella fase negativa si flette il gomito fino a 120°-130°, portando all’allungamento i capi muscolari del tricipite. Le ginocchia vengono leggermente flesse e si cerca di mantenere la curva lombare fisiologica.
  • Kick back: la posizione iniziale prevede di appoggiare un ginocchio ed una mano sulla panca piana, successivamente mantenendo la spalla estesa o iperestesia, con i gomiti lungo i fianchi o dietro di essi, si va ad eseguire una semplice estensione di gomito.

 

Tricipite brachiale

DOPO

PRIMA

Nelle palestre e nei centri fitness si sente molto spesso parlare di tecniche di allenamento particolari, probabilmente poco note ai neofiti frequentatori di palestre; un esempio è la tecnica di allenamento “buffer”, che permette all’atleta di riuscire a gestire un carico senza portare la serie a cedimento muscolare. Ma come possiamo utilizzare correttamente questa tecnica?

 

Negli anni è sempre esistita la credenza che una tipologia di allenamento orientato al cedimento  sia quella più proficua per l’ipertrofia muscolare, basandosi sul concetto che quando un atleta si stanca vengono attivate un numero progressivo di unità motorie che gli permettono di continuare  l’esercizio.

Tuttavia sono stati eseguiti recenti studi che affermano che il metodo a cedimento aumenta la possibilità di incorrere in overtraining burnout psicologico.

 

Sono stati eseguiti quindi due tipologie di esperimenti:                

  • nel primo i soggetti sono stati sottoposti ad un protocollo di allenamento ad esaurimento della durata di 16 settimane. E’ stata così dimostrata una riduzione di testosterone (ormone steroideo del gruppo androgeno) e di IGF-1 (fattore di crescita insulino-simile, più precisamente somatomedina C)
  • nel secondo invece sono stati testati sulla bench press 26 giocatori di basket e di calcio con esperienza nell’allenamento della forza ed è stato riscontrato che, dopo 6 settimane, chi si è allenato a cedimento ha ottenuto maggiori risultati rispetto a chi ha svolto i workout buffer 

Quindi possiamo dedurre che programmare un allenamento di cedimento muscolare può essere una buona alternativa, ovvero definire uno o più mesocicli di intensità progressiva, passando dal lavoro a buffer all’allenamento a cedimento, per poi successivamente riprendere con la tipologia di lavori  buffer. 

 

Al fine di eseguire correttamente la tecnica buffer illustrata è necessario comprendere in quale percentuale l’allenamento viene svolto in buffer o risulta orientato al cedimento muscolare, dato che entrambe le modalità si presentano contemporaneamente. Le scale RTS (Rate of Technique Scale) e RPE (Rate of Perceived Exertion) ci danno un valido aiuto per attuare tale distinzione, facendoci così dedurre che  un progressivo aumento della percezione di fatica porterà inevitabilmente ad un incremento nell’alterazione della tecnica.

 

In conclusione possiamo affermare che ora siamo in grado di programmare per noi stessi o per i nostri clienti un macrociclo annuale più ottimale, attraverso l’utilizzo di schede di training che vadano ad individuare mesocicli di allenamento buffer e cedimento muscolare nelle giuste proporzioni. Possiamo garantirci in tal modo di poter raggiungere sempre gli obiettivi desiderati.

Tecnica allenamento buffer

DOPO